di Gabriele Agostini

La stragrande parte delle sensazioni e delle emozioni che proviamo nell’agitata e tumultuosa quotidianità in cui siamo immersi non sono per nulla esperienze, ma solo un continuo e inarrestabile flusso di stordimenti e d’intontimenti funzionali a quel processo di infantilizzazione e di puerilizzazione della società così ben descritto da M. Chomsky nel famoso elenco delle dieci tattiche attraverso le quali il capitalismo esercita il controllo sociale sul mondo.

L’esperienza è cosa altra, essa implica un rapporto serio d’interazione con l’ambiente, ma sopra tutto un’istanza etico – estetica verso il miglioramento incessante di se stessi, che attribuisce la massima importanza non a ciò che uno è, ma a ciò che dovrebbe essere.

L’esperienza diventa estetica nella misura in cui noi la sviluppiamo, ci dedichiamo ad essa e combattiamo per la sua piena estrinsecazione. L’esperienza come dice Dewey deve essere portata a compimento. Il punto d’arrivo o approdo è sempre per Dewey l’opera d’arte. Quindi un agire e una collocazione di se stessi anti ideologica e anti edonistica che privilegi autenticità di relazioni umane e una manifesta volontà di vivere che sia resistente alle lusinghe della società dei consumi, quindi viva l’ecologia culturale e aspiri alla qualità dell’esperienza e non alla quantità.

Essere cioè inattuali. Come dice Nietzsche agire contro i propri tempi a favore di un tempo futuro. Essere contro l’omologazione, la standardizzazione e al tempo stesso contro l’eccentricità inconcludente, il vitalismo capriccioso, l’immediatezza incontrollata.

Attivare, quindi, solo ciò che merita di essere attivato poiché dotato di validità universale e lasciare nella pattumiera della storia ciò che non merita.

Kant distingue la meraviglia, la sorpresa che ha luogo nella rappresentazione della novità dall’ammirazione in senso stretto, che è una meraviglia la quale non cessa di esistere per il venire meno della novità. (Vewunderung – Bewunderung)

Come diceva Baudelaire “il bello è sempre stupefacente ma sarebbe assurdo supporre che tutto ciò che è stupefacente sia sempre bello.”

Nella fotografia di Gilbert Garcin, come poche volte accade, la meraviglia, la bellezza, lo stupore abitano sotto lo stesso tetto.